Uno studio italiano, pubblicato su Nutrients, ha evidenziato la diminuzione di decessi e trasferimenti in terapia intensiva.
Un team di ricercatori guidato dal professor Sandro Giannini, dell’Università di Padova, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Nutrients il primo studio che evidenzia scientificamente l’effettivo ruolo della vitamina D sui malati di Covid-19. La ricerca vede coinvolte le Università di Parma, di Verona e gli Istituti di Ricerca CNR di Reggio Calabria e Pisa.
Diversi studi sono stati ad oggi condotti a livello internazionale sul ruolo immunomodulatore della vitamina D, che parrebbe svolgere una funzione protettiva verso agenti infettivi. Tuttavia non vi sono attualmente molte informazioni su come la vitamina D possa influire sull’insorgenza ed il decorso della malattia nota come Covid-19.
Molti lavori scientifici hanno associato l’ipovitaminosi D a una maggiore esposizione alla malattia ed alle sue manifestazioni cliniche più aggressive. Poco si sapeva, invece, degli effetti dell’assunzione di colecalciferolo (vitamina D nativa) in pazienti già affetti da Covid-19. Una recente ricerca francese aveva suggerito che la terapia con colecalciferolo, assunta nei mesi precedenti il contagio, potesse favorire un decorso meno critico in pazienti anziani fragili affetti da Covid-19.
“La nostra è stata una ricerca retrospettiva condotta su 91 pazienti affetti da Covid-19, ospedalizzati durante la prima ondata pandemica nella area Area Covid-19 della Clinica Medica 3 dell’Azienda Ospedale-Università di Padova – spiega Giannini –. I pazienti inclusi nella nostra indagine, di età media 74 anni, erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora adoperate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose elevata di vitamina D per due giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D. La scelta del medico di trattare i pazienti era stata essenzialmente basata su alcune caratteristiche cliniche e di laboratorio: avere bassi livelli nel sangue di vitamina D al momento del ricovero; essere fumatori attivi; dimostrare elevati livelli di D-Dimero ematico (indicatore di maggiore aggressività della malattia); presentare un grado rilevante di comorbidità”.
Lo studio aveva l’obiettivo di valutare se la proporzione di pazienti che andavano incontro al trasferimento in unità di terapia intensiva e/o al decesso potesse essere condizionata dall’assunzione di vitamina D. Durante un periodo di follow-up di 14 giorni circa, 27 (29.7%) pazienti venivano trasferiti in terapia intensiva e 22 (24.2%) andavano incontro al decesso. Nel complesso, 43 pazienti (47.3%) andavano incontro a decesso o trasferimento in ICU”.
L’analisi statistica rivelava che il peso delle comorbidità (rappresentate dalla storia di malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, malattia neoplastica non in remissione, diabete mellito, malattie ematologiche e malattie endocrine) modificava in modo ampiamente significativo l’effetto protettivo della vitamina D sull’obiettivo dello studio, in modo tale che maggiore era il numero delle comorbidità presenti, più evidente era il beneficio indotto dalla vitamina D.
“In particolare – prosegue Giannini –, nei soggetti che avevano assunto il colecalciferolo il rischio di andare incontro a “Decesso/Trasferimento in ICU” era ridotto di circa l’80% rispetto ai soggetti che non l’avevano assunto. Il nostro lavoro dimostra, quindi, il potenziale effetto benefico della somministrazione della vitamina D in quei pazienti affetti da Covid-19 che, come molto spesso accade, presentano rilevanti comorbidità e indica l’opportunità di condurre studi appropriati a conferma di questa ipotesi”.
Fonte:nursetime